DOTT. CESARE GUERRESCHI

Prima edizione 2016
© Cesare Guerreschi
ISBN 978-88-909468-5-1

Tratto dal libro: TESTIMONIANZE

“Quando la costanza della ragione vince sul demone”

TESTIMONIANZE GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO

Testimonianza di Paola:

Abitavo in campagna, dove lavoravo. Un posto molto bello e tranquillo, un posto abbastanza isolato. Parlo di sei anni fa. Davanti il viale, il solito bar dove andavo spesso per prendermi le sigarette e il caffè. Nel pomeriggio ricordo che insieme ad un’altra mia amica, ci trovavamo nel bar per giocare a carte con delle persone anziane (vicino c’era un ospizio). In questo modo, due ore venivano sempre trascorse seduti tutti assieme a giocare a carte…

Conoscevo un ragazzo che abitava lì vicino e stava sempre davanti alla macchinetta a mettere sempre più soldi dentro, quando un giorno m’insegnò come mettere delle monetine ed iniziare un partita. Io come una sciocca cominciai a fare come mi disse. Ricordo poco, ma non sentii tutto quell’entusiasmo che mi aveva descritto lui e che mi aveva garantito che avrei provato. Così, me ne andai non rendendomi conto che quello sarebbe stato l’inizio di tutto. Il tempo intanto passava, lavoravo e tenevo compagnia agli anziani. Il caffè insieme era d’obbligo. Il mio sguardo spesso si posava sulle tante persone che stavano attorno a quella macchinetta che avevo provato. Mi chiedevo che cosa ci trovassero di così interessante ed attraente. Ad un tratto, cominciai a sentire lo scroscio delle monetine che cadevano a fiumi: qualcuno aveva vinto. A quel suono, scattò qualcosa nella mia testa. Avevo il mio lavoro, la mia casa, però in qualche modo sentivo che mi mancava qualcosa, ma non sapevo che cosa.

Dopo un periodo di tranquillità, mentre mi trovavo nel centro della mia città ed ero in un bar a bere un caffè, vidi di nuovo quelle macchinette. Le persone che avevo attorno si stavano divertendo e questa volta, non mi ero domandata che cosa ci trovassero, ero felice per loro, quasi gelosa. Quando la gente se ne andò mi avvicinai e misi una monetina, provai una, due, tre volte e mi sentivo qualcosa che mi faceva stare bene. Cominciai a provare qualcosa stando davanti a quello schermo illuminato, con tutti quei colori e suoni. Passò un anno ma la mia “attrazione” verso quelle macchinette non era diminuito, anzi. Quando passeggiavo, sia che ero da sola o in compagnia, ogni qualvolta che vedevo una macchinetta, dovevo fermarmi e mettere dei soldi, anche solo il resto del caffè. Tuttavia, preferivo la prima che avevo “conosciuto” e feci in modo che rimanesse quella.

Nel giro di due anni o poco più, nonostante non avessi vinto, la mia “abitudine” si fece sempre maggiore. Un giorno, dovevo operarmi e così rimasi a dormire da mia madre che abitava in città e li cominciai a passare quasi tutte le mattine al “mio” bar per due o tre ore per giocare. Mi divertiva, sentire il suono, le piccole luci che ti attiravano come una sorta di calamita, stare lì davanti, ormai era diventato tutto per me. Ricordo che spesso il telefonino suonava in continuazione, ma io non rispondevo mai; l’eccitazione davanti a quello schermo era fantastico. Per me era tutto e non m’interessava nient’altro. Non mi accorgevo di come passava il tempo e quando i soldi finivano m’irritavo e pensavo “Che faccio adesso?”. Cominciai a chiedere soldi a persone che conoscevo amici, cugini, conoscenti inventando le bugie più strane e difficili per fare in modo d’avere 30 – 50€ per poter stare bene.

Qualche volta vincevo ma era sempre poco e poco dopo ricominciavo. Era un mondo completamente diverso starci davanti. Quando tornavo a casa e magari c’erano i fratelli o cugini a mangiare, anche quelli a cui avevo chiesto i soldi, non m’interessava. Il mio impegno con la slot machine era molto più importante. Qualcuno si era accorto che non stavo mai a casa, c’erano anche persone che sapevano che giocavo e chi si domandava che cosa facevo 3 o 4 ore fuori da sola. Mi isolavo sempre di più, non mi piaceva (e non mi è mai piaciuto) l’ambiente familiare in cui vivevo; nemmeno quando stavo in campagna e questo mi portò spesso ad isolarmi. Forse, è proprio lì che avevo trovato un oggetto: la slot machine che mi “voleva bene”! Mi dava compagnia con i suoni, i colori, insomma le mancava solo la parola! Davanti al suo schermo ero contenta, mi sentivo un’altra persona. Tuttavia, avevo cambiato carattere. Ero diventata falsa da morire e avevo un disinteresse totale verso tutto quello che mi circondava. Arrivò l’estate, mia madre era fuori città, mentre io decisi di rimanere da lei. Mia sorella faceva avanti ed indietro. In piena estate, rimasi senza soldi, e non potevo aspettare il fine settimana per prendere i soldi, la macchinetta mi aspettava e “Dovevo andare a trovarla”, pensavo! Uno dei tragici eventi bruttissimi è stato proprio a casa di mia madre. Aprii il suo armadio, presi (senza pensare alle conseguenze) degli oggetti d’argento appartenenti alla famiglia. Le misi dentro un sacco di plastica e andai vicino alla stazione per venderle. Non ricordo quanto ero riuscita a prendere, ma non m’importava molto. L’importante era avere soldi. Presi i soldi e andai alla stazione dei treni dove mi dissero che c’era una sala giochi molto grande che avevano aperto da poco.

Questo fu un itinerario che feci per parecchio tempo. Casa, autobus, soldi e subito andavo a giocare. Era una sala giochi molto grande con 15 slot machine, ma a me interessava solo la mia che mi stava aspettando! Ormai se qualcuno la provava, diventavo irrequieta e mi dava molto fastidio. Questo fu uno dei danni e quando mia madre tornò in città, successe il finimondo. Mi ha scoperto e m’obbligò ad andare con lei a ritrovare tutto quello che avevo rubato e venduto. Molte cose per fortuna furono ritrovate, ma lei era disperata. Un giorno mi prese e mi portò da mio padre (erano separati) dicendogli quello che avevo combinato con le lacrime agli occhi. Gli disse di trovarmi una stanza dove poter dormire, aggiungendo che non voleva prendersi cura di me. Mi sentivo trattata come un pacco postale. Se ne andò senza nemmeno pensarci due volte sulla decisione che aveva preso. Io non capivo più nulla. Ricordo solo che mio padre mi prese per un braccio e tirandomi, mi chiese “Cosa devo fare con te, non ho una camera al momento”. Mi prese di nuovo per il braccio e tirandomi con forza, mi fece salire sulla sua macchina. Con le lacrime agli occhi, continuavo a chiedergli scusa ma era come se non esistessi per lui, non gli interessava nulla. Arrivammo davanti a casa di mia madre e mi disse di scendere. Ancora una volta mi sentii trattata come un pacco postale. Scesi dalla macchina, lui ripartì senza nemmeno salutarmi. Suonai a casa e mia sorella mi aprì la porta. Stavo per entrare quando arrivò mia madre e mi chiese che cosa volevo ancora lì; ero fuori di me, disperata, non sapevo più cosa e come fare per poter rimediare alla situazione. Con un filo di voce chiesi di poter entrare e me lo permisero. Due giorni dopo, mia madre mi disse che mio fratello aveva trovato una clinica a Bolzano dove si poteva andare per poter guarire dal gioco. Mia madre, s’interessò molto della struttura e mi chiese di andare lì. All’inizio non volevo, ma dopo mi disse che se fossi andata, avrei seguito un programma e sarei tornata quella di prima, allora mi giurò che mi avrebbe trovato un piccolo monolocale nel centro della mia città. Quella promessa non fu mai mantenuta. Per farla contenta, andai a Bolzano, mi sembrò di fare un viaggio lunghissimo. Mi dissero che era una clinica e io mi immaginai una casa, con un corridoio molto lungo e con molte ragazze vestite di bianco. Ma mi sbagliai. Arrivai un anno e mezzo fa qui a Bolzano. La “clinica” era un casa a due piani e non mi fece una bella impressione. Tuttavia, mi sbagliai di nuovo.

Dentro trovai, delle persone straordinarie, che erano pronte a spiegarti tutto. Mi trovo ancora in questa struttura, anche se adesso hanno traslocato e la nuova sede è davvero bella. Devo dire che, nonostante abbia avuto anche qui delle ricadute, ho visto dei grandi cambiamenti del mio carattere e nel mio stile di vita. Mentre ancora ero qui a Bolzano, circa due mesi fa, ho commesso un secondo grosso danno, dove ho tradito la fiducia di una delle persone più care a me, spero e mi auguro, che il mio cammino possa andare sempre meglio e sempre in salita, fino a che non potrò riacquistare la fiducia delle persone più care a me.

Il gioco è stato un rifugio, una scappatoia dove potermi nascondere e ho buttato via due anni e più della mia vita. Soldi, bugie a non finire… Non ne è valsa la pena.