DOTT. CESARE GUERRESCHI
Prima edizione 2016
© Cesare Guerreschi
ISBN 978-88-909468-5-1
Tratto dal libro: TESTIMONIANZE
“Quando la costanza della ragione vince sul demone”
TESTIMONIANZE GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO
Testimonianza di Giacomo:
Giacomo racconta il suo percorso verso un abisso mai così profondo che si chiama dipendenza da gioco d’azzardo. Queste le sue parole:
Mi chiamo Giacomo ho 27 anni ed ho iniziato a giocare 4 anni fa. La prima volta che entrai in un Casinò ero in compagnia: la classica gita ad un Casinò. Sono rimasto deluso da quell’ambiente squallido, vedevo tutte le persone in ansia che correvano da una macchinetta all’altra, nervosissime, disperate, ritenevo che fosse gentaglia: insomma non mi piaceva. Nonostante questo sono tornato a distanza di qualche mese in compagnia della mia ragazza la quale con 10.000 lire ne vinse 500 mila alle slot machine: uscimmo felici. Dopo qualche giorno tornai con un gruppo di amici: da quel giorno iniziammo a recarci al Casinò con regolarità (prima una volta a settimana poi anche 2 o 3) e ovviamente, a perdere piccole cifre. Mentre la maggior parte degli amici si stancò presto, in due iniziammo a giocare ai tavoli verdi, all’inizio pochi soldi in società. In quel periodo, una sera vincemmo 2 milioni e mezzo di lire a testa. Il giorno dopo ci incontrammo al bar, abbiamo diviso la vincita e abbiamo preso accordi per la sera: abbiamo vinto ancora ed anche la sera seguente. Mi ricordo che scherzavamo dicendoci che avevamo trovato un secondo lavoro importante, redditizio senza faticare, ci sembrava un sogno, eravamo felici appagati entusiasti, ci svegliavamo la mattina aspettando la sera per tornarci.
La quarta sera abbiamo perso tutto quello che avevamo vinto i giorni precedenti e in più, anche i nostri soldi, in quel periodo avevamo carte di credito e bancomat abbiamo esaurito tutta la disponibilità delle carte: circa 20 milioni di lire! Tornando a casa ci dicevamo che avevamo sbagliato tattica, che avevamo sbagliato a giocare in tavoli separati cifre eccessive: ci ripromettemmo di tornare però seguendo una base di gioco vincente, giocare insieme su un tavolo senza sperperare. A distanza di poco tempo, non avendo più disponibilità nelle carte di credito e nei bancomat, andammo in banca a prelevare soldi per la sera: 5 milioni. La sera iniziammo a giocare seguendo gli schemi di gioco concordati e quella volta li rispettammo ma le basse vincite non ci soddisfacevano! Tornammo a dividerci ognuno su un tavolo aumentando le puntate. A metà serata Martino, così si chiamava il mio socio, mi disse “Andiamo a sederci così facciamo una quenta”. In quel momento eravamo in vincita quindi andammo a cambiare i nostri soldi e la vincita la rigiocammo e continuammo a giocare prima in vincita poi in perdita. In questo periodo apprezzavamo solo le fiches da 1000 franchi in su (1 milione e 300 mila lire): i 100-500 franchi erano “pinelli” senza valore. È difficile spiegare perché vincevamo e non riuscivamo ad andare via, c’era qualcosa dentro di noi che ci tratteneva, un’energia fortissima che decideva lei quando smettere, eravamo dominati. Il limite pensavamo di averlo raggiunto quando in una sola serata perdemmo oltre 30 milioni di lire; tornando a casa ci promettemmo di non tornarci più, di non pensare ad un recupero impossibile. Per sei mesi abbiamo resistito poi Martino mi chiamò convincendomi di andare con 500 mila lire a testa, lasciando a casa le carte di credito. Vincemmo poco però eravamo felici: ci illudevamo di poterci controllare. In quel periodo però il Casinò non era così emozionante: leggendo i giornali di corse dei cavalli scoprimmo la tris e cominciammo a giocarla tutti i giorni spendendo 200 mila lire a testa senza mai vincere. Stavamo lontano dai tavoli da gioco, ma attaccammo con la tris, lotto, Superenalotto, ecc., convinti di spendere meno e di avere più probabilità di vincite. Quell’anno andammo assieme in ferie all’estero e un pomeriggio in cui non avevamo voglia di mare, scoprimmo il Casinò; l’atmosfera era molto rilassata rispetto a quelli da noi vissuti in Italia. Nel frattempo Martino aveva studiato un sistema di “gioco sicuro”: ad ogni giro di pallina puntavamo sempre gli stessi 12 numeri. Vincemmo una somma che ci ripagava ampiamente la vacanza: ci sentivamo felici, intelligenti, onnipotenti! Dopo 5 giorni tornammo: eravamo solo noi due a giocare, abbiamo perso tutto, siamo riusciti solo ad avanzare pochi soldi per finire fortunosamente la vacanza; il sistema vincente non funzionava più.
Rischiammo seriamente di non riuscire a coprire i nostri debiti e quindi che i nostri familiari si accorgessero che non andava qualcosa ma, per il rotto della cuffia, tamponammo entrambi le rispettive situazioni. Tempo dopo mi tornò la voglia di giocare e cercai Martino, lui mi disse che non voleva più metterci piede e cercava di convincere anche me dicendomi che ci eravamo già rovinati abbastanza. Non lo ascoltai, pur non avendo problemi o debiti volevo giocare a tutti i costi: mi accorsi in quel momento che cercavo solo le forti emozioni della pallina, non la vincita in sé.
Quello stesso giorno alcuni clienti mi avevano appena pagato 15 milioni di lire: andai al Casinò persi tutto e si innescò nuovamente il meccanismo: continuai a giocare sempre più spesso poiché il mio lavoro mi faceva guadagnare molto bene. Poi cominciai a prelevare dai conti della società di famiglia diverse somme di denaro prima 5 milioni, poi 15, poi 30 e oltre. Poiché nessuno dei miei familiari era a casa, nessuno poteva controllare i conti correnti. Alla soglia del loro ritorno mi ero esposto per circa 80 milioni; avevo capito di essermi messo nei guai, sapevo che appena ricominciavamo a lavorare qualcuno se ne sarebbe accorto e infatti fu così.
Un mio parente se ne accorse per primo: mi chiamò e parlai, gli confidai tutto; lui rimase molto deluso e nello stesso tempo non credeva che avessi giocato tutti quei soldi; non capiva il perché. Secondo lui il giocatore era una persona che tramite il gioco tentava di cambiare la propria vita in meglio, che sognava di avere una vita agiata; non capivamo come potessi giocare pur non mancandomi nulla; avevo un ottimo lavoro, belle macchine, un tenore di vita alto: a 25 anni ero un privilegiato. Lui e di seguito gli altri familiari, pensavano che mentissi per nascondere problemi più gravi: con la verifica dei miei ingressi al Casinò ebbero la conferma. È stato un colpo per tutti, io sono stato malissimo per la vergogna, ma promisi di smettere e alla fine mi perdonarono. In breve ricominciai a giocare sempre più intensamente: ero drogato da quella pallina; in ufficio disegnavo il tavolo verde passando la maggior parte del tempo a studiare nuove strategie di gioco. Ricominciai a sottrarre denaro in azienda e quando i miei se ne accorsero, fecero chiudere tutti i miei conti, ritirarono le mie firme nei conti correnti della società, minacciarono di chiudere l’agenzia immobiliare che io gestivo ma non mi abbandonarono. Nonostante tutto questo continuai a giocare: arrivai al punto di chiedere 10 milioni alla mamma della mia ragazza inventandomi un affare e lei me li diede; dopo pochi giorni li dovevo rendere ma li avevo persi, avevo paura per la figura che avrei potuto fare con lei. Mi rivolsi perciò ad un collega, lo coinvolsi in una operazione immobiliare fantasma, mi feci dare 30.000.000 per partecipare e per contro partita gli firmai 45.000.000 di cambiali; restituiti i 10 milioni persi il resto al gioco. Quando ero a rischio di essere protestato, mi rivolsi ad un amico di famiglia, gli inventai che avevo bisogno di 45.000.000 inventando scuse di ogni genere, lui non credette a nulla di quello che gli raccontai.
La stessa sera mi chiamò un mio parente dicendomi di andare a casa sua poiché l’amico di famiglia gli aveva riferito delle mie richieste di denaro. Gli raccontai tutto, anche delle cambiali che scadevano il giorno dopo; nel frattempo arrivarono mio padre e un altro mio parente: mi umiliarono tantissimo, continuavano a non capire il perché di tutto questo. Io non avevo delle risposte, giocavo solo per l’emozione che mi dava, per le sensazioni di potere e di onnipotenza. A questo punto ci rivolgemmo ad uno psichiatra il quale mi disse che se non iniziavo a curarmi correvo dei rischi ancora più gravi. La sera tutta la famiglia mi pregò di affidarmi alle cure di quel dottore: io non li ascoltai, ero sicuro di potercela fare da solo, ero sicuro di aver capito, ero sicuro che più di questo non potevo fare, “ero sicuro di aver toccato il fondo ma mi sbagliavo”.
Quando mi chiamò l’amico delle cambiali io avevo un grosso senso di colpa; senza parlarne con nessuno andai da lui, e gli firmai ancora le cambiali con scadenza giugno e luglio perché volevo rendergli il denaro. Poco prima della scadenza delle stesse iniziai a preoccuparmi; un collega mi portò 10.000.000 in contanti di provvigioni; li giocai subito tutti. Un mio parente era a conoscenze che sarebbero entrati quei soldi e me ne chiese conto. Ricominciai a mentire ma subito venni scoperto; la mia famiglia mi ripudiò esausta, mi allontanò dal lavoro. È stato molto doloroso perdere ciò che avevo creato e gestito al meglio per 8 anni; dalla mattina alla sera mi trovai senza lavoro con tante preoccupazioni che mi assillavano tra cui i pesanti debiti e la perdita della mia fidanzata. Sempre fingendo di proporre affari immobiliari iniziai a truffare il prossimo per pagare le cambiali e per recuperare giocavo, ma perdevo. Trovai perciò lavoro presso un’azienda di un paese limitrofo. Già alla prima settimana chiesi al titolare 15 milioni; dopo poche ore mi portò i soldi senza chiedere garanzie, andai al Casinò e lì persi, dopo pochi giorni gliene chiesi 25. Lui si fidò ancora, in quel momento avevo raggiunto i 130 milioni di debiti.
La sera stessa inizio a giocare molto forte: 7 numeri alla volta, 2 milioni a giro di roulette, dopo poco tempo mi rimane solo 1 milione, comincio a vincere. Si avvicina un giocatore che non conoscevo, mi suggerisce di giocare per 200 franchi il 17 con i due e due con altri 300 franchi sul 17, esce il 17 e vinco 18 milioni. Ho provato un’emozione mai sentita: un’energia che partiva dalla punta dei piedi e arrivava fin sopra i capelli. Ero fortissimo, urlai di gioia, abbracciai questa persona e la baciai, ridevo. Ero sicuro che quella sera sbancavo, offrii da bere a lui e continuai a giocare seguendo i suoi consigli, giocai sempre più forte, vincevo. Sono arrivato a 60 milioni di vincita, ero pieno di fiches che non sapevo più dove metterle, avevo la giacca gonfia di fiches da 5 mila e 10 mila franchi; questo signore mi diceva insistentemente di smettere e andare a casa.
Non volevo ascoltarlo volevo vincere di più, erano tanti ma non risolvevano tutti i problemi; di seguito cominciai a perdere, ero nervosissimo, correvo avanti e indietro saltando da un tavolo all’altro, non vedevo più niente, solo pallina che girava sulla roulette, pensavo di recuperare un po’ e smettere, ma in realtà persi tutto. A quel punto ero esausto: le gambe tremavano, sudavo sempre più e la mente era annebbiata. Il signore di inizio sera si avvicinò e mi regalò 500 franchi e mi disse di recuperare qualche soldo e di andarmene, di osservare come ero conciato; non sembravo più un ragazzo giovane ma un vecchio decrepito. Ringraziai col cuore questa persona ma persi tutto; non visto, scappai via. Quella notte tornando a casa ho pensato di buttarmi giù da un ponte, quella notte non m’interessava più niente: volevo veramente farla finita avevo troppi problemi e poco coraggio. Ad un tratto pensai a mia madre: non volevo farla soffrire oltre; a casa mi aspettavano svegli ed io inventai una scusa. Un mio caro amico a cui dovevo del denaro capì che avevo grossi problemi; egli riuscì a spezzare la catena, gli raccontai tutta la verità. Non mi abbandonò, in sua presenza mi fece affrontare tutte le persone a cui avevo chiesto soldi, fu molto pesante ma liberatorio.
Tutti erano disposti ad aiutarmi, ad attendere che io mi curassi ma non più a pagarmi i debiti. Contattarono la clinica dove ero stato e mi prescrissero un ricovero di tre settimane. Iniziai il programma terapeutico, conosco altre persone con problemi di alcol e droga; a volte mi ritenevo fortunato, altre volte avrei desiderato essere un alcolista: non riuscivo ad accettare questa malattia, la ritenevo una cosa troppo stupida. Durante un gruppo terapeutico parlò Matteo, un professionista ex-giocatore, di come ha perso 7 miliardi al tavolo da gioco, di come è finito nelle mani degli usurai rischiando di essere ammazzato. Lui era arrivato in clinica in fin di vita: la sera prima aveva perso 300.000.000 al Casinò, aveva assunto 10 grammi di cocaina e aveva bevuto 2 bottiglie di whisky.
Da 5 anni e mezzo Matteo non fa uso di sostanze e non gioca, aveva 2.000.000.000 di debiti in 5 anni, li ha pagati riconquistando la fiducia del prossimo. In quel momento provai forte ammirazione per lui e anche invidia per come ne era uscito. Passate le 3 settimane rientro nell’ambiente di lavoro carico di speranza e buone intenzioni, continuando a frequentare la Clinica con regolarità. La spirale ricominciò in breve come e più di prima: io persi l’amicizia e la comprensione di tutti coloro che mi stavano attorno; torniamo in clinica ed i miei parenti chiedono al dottore di preparare una perizia psichiatrica al fine di richiedere l’infermità mentale e di conseguenza l’interdizione.
Il dottore ci mise in contatto con la S.I.I.Pa.C. e approdai al Centro di Bolzano. Mentre scrivo sono 142 giorni che non gioco; ho il terrore di ricadere, penso di aver capito che il gioco d’azzardo patologico è una malattia difficilmente gestibile.
Il gioco mi ha sconvolto la vita, ho perso 800 milioni in 5 anni, ho perso il mio ufficio, ho perso la mia dignità, ho perso la ragazza e gli amici. Non vedo e non sento da 3 mesi i miei zii, i miei cugini, ho 250 milioni di debiti, sono stato protestato, rischio di essere condannato per truffa, ricettazione ed emissione di assegni a vuoto.
Ho scritto questa testimonianza con la speranza che serva da monito per tutti coloro che la leggeranno e che sono ancora apparentemente lontani dall’abisso di disperazione che il gioco d’azzardo patologico può causare.